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PERSONALE E ORGANIZZAZIONE
13/05/2003

La formazione come strumento strategico per l'innovazione nelle pubbliche istituzioni

1. Una premessa di carattere metodologico.

Quando si intende affrontare il tema della “qualità delle risorse umane” nel contesto delle pubbliche istituzioni, di quelle pubbliche istituzioni che continuano ad essere responsabili, al di là dell’applicazione che una classe politica possa fare, in un determinato periodo storico, del principio della sussidiarietà orizzontale (“più privato meno Stato”), non si può fare a meno di svolgere alcune riflessioni di fondo su quella politica che siamo abituati a definire, in maniera onnicomprensiva, come la “politica del personale nel settore pubblico”.

L’analisi che si intende portare all’attenzione è quella di verificare se effettivamente vi sia stata sinora, da parte dei diversi livelli di governo (e, in particolare, di quello statale) una adeguata considerazione del valore che questo strumento di innovazione possiede, se effettivamente vi sia stata, nelle diverse realtà istituzionali, una offerta formativa adeguata alla domanda di conoscenza, se effettivamente la formazione, in quanto capace di creare “nuova cultura” (saperi) così come “disponibilità al cambiamento” (comportamenti), sia stata utilizzata per migliorare i prodotti/i servizi resi al cittadino, al sistema delle imprese.

Si può condividere, innanzitutto, la tesi secondo cui le risorse umane costituiscono parte essenziale del patrimonio immateriale di ogni organizzazione; esse sono un capitale, il “capitale umano”.

E si può anche dire, senza che alcuno possa formulare posizioni culturali che ne smentiscano la validità, che senza una adeguata politica del personale, delle risorse umane, qualsiasi organizzazione è destinata inevitabilmente all’inefficienza, prima, e alla conseguente inefficacia, risultando anti-economica la sua stessa sopravvivenza.

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(*) Intervento di base tenuto al Convegno sul tema “Cambiamento organizzativo presso la P.A. e modelli professionali: indagine sui fabbisogni formativi nei Comuni della Provincia di Latina”, organizzato dalla STEP S.p.A. e dal Comune di Latina, svoltosi a Latina il 6 maggio 2003.

E ciò è tanto più vero nelle organizzazioni che producono servizi: in tutti i casi in cui la prestazione è un servizio, viene ad essere valutata l’attività del personale che ha reso il servizio stesso e il modo in cui tale personale lo ha reso.

Le caratteristiche possedute da questo personale e la qualità delle relazioni (contatti) che esso instaura con l’utenza, quindi, definiscono il grado di soddisfazione dei clienti non meno delle caratteristiche intrinseche del servizio stesso.

Se è vero che le risorse umane costituiscono parte essenziale del patrimonio immateriale di ogni organizzazione, si rende necessario porre in essere attività specifiche per la loro acquisizione, per la loro conservazione, per la loro gestione e, infine, per la loro valorizzazione.

L’insieme di queste attività costituisce “la politica del personale”, costituisce, in senso minimo, “la politica delle risorse umane”.

Non abbiamo usato a caso termini come “acquisizione”, come “conservazione”, come “gestione”, come “valorizzazione” delle risorse umane.

Sono termini questi ripresi non dalla disciplina del diritto amministrativo, che usa un linguaggio suo proprio, ma dalla poco coltivata disciplina, nel nostro Paese, della “scienza dell’amministrazione”, della “scienza dell’organiz-zazione”..

Già questo costituisce un indice del cambiamento culturale che è stato probabilmente generato dai principi contenuti in alcuni articoli del decreto legislativo n. 29/93; principi che, in considerazione della loro essenziale generalità, ritroviamo confermati in quelli del d.lgs. n. 165/2001.

Ed è carico di sostanziale significatività il richiamo che l’art. 1 del citato d.lgs. n. 165/2001 fa dell’art. 97, 1° comma, della Costituzione; quell’articolo della Costituzione che fa riferimento al “buon andamento”, a quel sistema virtuoso di comportamenti degli amministratori pubblici che la cultura anglosassone chiama, più comprensibilmente, “sana gestione”.

Non può non far riflettere che anche le autonomie locali debbano, avendo a presidio culturale dei comportamenti dei loro amministratori il principio costituzionale richiamato, “accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell’Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici” e, al contempo, esse – le autonomie locali – debbano “realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane …, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti…”.

Una linea-guida che il Parlamento nazionale, in aderenza al testo, non più vigente, dell’art. 117 Cost. (si faceva riferimento alla potestà legislativa nazionale di fissare “principi fondamentali” nei riguardi delle Regioni a statuto ordinario; o di qualificare tali principi come “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica” nei riguardi delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano), ha inteso riaffermare nell’art. 7, 4° c., dello stesso decreto legislativo:

“Le amministrazioni pubbliche curano la formazione e l’aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifiche dirigenziali, garantendo altresì l’adeguamento dei programmi formativi, al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione”.

C’è da chiedersi, allo stato della nuova legislazione costituzionale del nuovo art. 117, che esclude nella materia dell’ordinamento degli uffici diversi da quelli statali l’interferenza normativa del Parlamento nazionale, se l’obbligo di curare la formazione continua del personale dipendente, posto a carico del bilancio di Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane, risulti coperto da un sistema normativo di fonte costituzionale.

Al di là della disciplina nazionale, di fonte parlamentare, che ha inteso privatizzare il rapporto di lavoro della maggior parte dei dipendenti pubblici nell’illusione che con ciò si sarebbe conseguito una maggior livello di produttività degli apparati, sono gli articoli 28 e 97 della Costituzione che, letti integrativamente in rapporto all’art. 3 della stessa (tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge), legittimano oggi le diverse amministrazioni pubbliche a:

a)curare la formazione e l’aggiornamento del personale

b)garantendo l’adeguamento dei programmi formativi,

al fine di contribuire allo sviluppo della cultura di genere della pubblica amministrazione.

Sembrerebbe quest’ultima dichiarazione un “refuso storico”. Affermazione questa che sembra contraddire la strategia di pervasiva privatizzazione del rapporto di lavoro che si è venuta attuando nel periodo successivo all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 80 del 1998: si afferma, infatti, l’esistenza di una cultura propria, specifica della pubblica amministrazione.

Ebbene, da questa affermazione, sulla quale quasi nessuno studioso di pubblica amministrazione ha ritenuto di dover puntare l’attenzione, possiamo risalire al valore “diverso” che ha lo svolgimento dei servizi pubblici essenziali rispetto a quello dei servizi che “pubblici” non sono.

Lo svolgimento dei servizi pubblici richiede, in sostanza, di fare ragionamenti e valutazioni in termini di qualità, in termini di standards che vanno condivisi dagli utenti, e che vanno giudicati dagli stessi.

E perché questa qualità risulti evidente sarebbe interessante verificare quali e quante risorse finanziarie un datore di lavoro – in questo caso pubblico – dedica alla formazione del personale che il servizio è chiamato a rendere.

Il “buon andamento” comprende, secondo una affermata tendenza giurisprudenziale della Corte Costituzionale, il rispetto del parametro della legittimità, ma anche il rispetto di altri parametri: quello dell’efficienza, quello dell’economicità, quello dell’efficacia.

Da qui la riscoperta di una cultura della Pubblica Amministrazione che non è semplicemente quella dell’aziendalistica privata. C’è, quindi, una via tutta nuova, del tutto originale, che porta alla riscoperta del “buon andamento” cui hanno inteso fare riferimento i nostri padri Costituenti.

E tale tipo di riflessione assumerà tanto più valore quanto più la ricerca scientifica riuscirà ad assicurare una lettura coesa dei principi “tradizionali” contenuti negli artt. 28 e 97 Cost. e di quelli “nuovi” contenuti negli artt. 117 (buon andamento/imparzialità) e 118 (sussidiarietà; differenziazione; adegua-tezza) nel testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3/2001.

Alla luce di queste disposizioni andrebbe, quindi, letta la direttiva sulla formazione del personale delle pubbliche amministrazioni che, il 13 dicembre del 2001, è stata messa a punto dal Dipartimento della Funzione Pubblica.

Una “direttiva” che, proprio per assicurare ancora al Dipartimento il ruolo di coordinamento nella materia, introduce concetti nuovi sulla valenza che le dirigenze pubbliche, responsabili amministrativamente ai sensi dell’art. 28 Cost., sono chiamate ad annettere alle gestione delle risorse finanziarie utilizzate a tale scopo.

La direttiva indica metodi, propone procedure, sollecita comportamenti diversi rispetto al passato, sposando una logica di sostanziale razionalizzazione della gestione degli interventi formativi.

E proprio da queste sollecitazioni vanno emergendo, nel territorio nazionale, esempi di una corretta gestione delle risorse finanziarie destinate a una sempre più razionale gestione della politica delle risorse umane…; e che deve diventare misura del “buon andamento” conseguibile dai diversi livelli di governo.

2.L’interpretazione da dare al tema della formazione dei dipendenti delle pubbliche istituzioni.

Vi sono alcune affermazioni, formulate dal Dipartimento della Funzione Pubblica nell’occasione della messa a punto della “direttiva” sulla formazione e sulla “valorizzazione” delle risorse umane (per l’anno 2002 e per gli anni a venire) – diretta a tutte le pubbliche amministrazioni -, che sono destinate a conservare nel tempo il pregio di una loro sempre viva attualità, di una loro sempre fresca validità.

Sono affermazioni che, per la forte individuazione di valori che esse stesse contengono, sono – e possono essere – richiamate a supporto del principio del buon andamento (art. 97 Cost.) cui si deve ispirare anche la politica pubblica della gestione delle risorse umane nella Pubblica amministrazione, dato che essa utilizza risorse finanziarie rivenienti dal sistema tributario.

La formazione è un investimento; la formazione deve consentire la crescita professionale degli operatori pubblici; la formazione deve consentire, al contempo, il miglioramento dei servizi resi dalle pubbliche amministrazioni ai cittadini.

Ma c’è un’altra affermazione che occorre porre in giusta evidenza: il fatto che, attraverso l’analisi dei fabbisogni formativi e la conseguente programmazione degli interventi, si possa assicurare il diritto individuale alla formazione permanente in coerenza con gli obiettivi istituzionali delle singole amministrazioni.

Un passaggio questo che la dice lunga sui tempi e sui modi di realizzazione di quella parte della politica pubblica delle risorse umane, che viene a costituire il “torso” fondamentale delle relazioni sindacali a livello centrale. E che si deve nutrire degli apporti contenutistici della “periferia” del sistema amministrativo, se è vero che si richiede alla formazione di essere strumento a supporto del sistema delle innovazioni introdotte.

Nelle affermazioni richiamate c’è la profonda consapevolezza che ormai le procedure definite, i tempi delle decisioni da assumere, le modalità di realizzazione dei progetti richiedono ai diversi attori del sistema una cultura che, se non c’è, va costruita.

E, oggi, se si intende fare seriamente “formazione aziendale”, occorre evitare situazioni di pressappochismo nell’approccio al tema; occorre evitare, ancora, che la formazione assuma solo ed esclusivamente i caratteri della lezione teorica, senza alcuna garanzia di trasmissione dei risultati dell’esperienza acquisita sul campo; ma occorre, anche, che la scelta dell’offerta formativa possa essere esercitata dal singolo, anche al di fuori degli spazi circoscritti dal proprio datore di lavoro.

Anche perché, a volte, la programmazione degli interventi, sia che sia cadenzata su base annuale sia che si sviluppi secondo tempi più ampi (triennalità), così come gestita dallo stesso ente pubblico, non consente di capire le esigenze di “nuova” cultura via via emergenti.

Anche in questo campo, vi sono ancora da scrivere piccole regole di comportamento; vi sono da individuare spazi di acquisizione di nuova cultura per i tanti come per i pochi; vi sono da scoprire talenti, tra gli stessi operatori, che sono in grado di trasmettere l’esperienza maturata ai propri colleghi.

Alla luce di queste prime considerazioni, c’è da immaginare che le risorse finanziarie sono da utilizzare in quanto si abbia la capacità previsiva, da parte degli stessi amministratori, di valutarne l’efficacia e la qualità degli interventi formativi da porre in essere.

Come progettare la formazione.

I dati/le informazioni disponibili.

Le tre sfide importanti da affrontare.

Il ruolo della formazione.

La domanda di nuove competenze

Analisi aggiornata dei profili professionali

L’informatizzazione nelle Pubbliche Amministrazioni

Riorganizzazione delle amministrazioni

Migliore organizzazione del lavoro

La riforma della dirigenza

Alta formazione continua

Modello manageriale

Non è questo un progetto culturale di poco momento.

Mi pare di poter solo dire, qui, alcune semplici cose:

a)la qualità del servizio formativo è assicurata, in genere, dalla professionalità degli interventori (adeguatezza culturale);

b)la qualità del servizio formativo subisce graduazioni in rapporto al livello culturale posseduto dai suoi destinatari (personalizzazione);

c)la qualità del servizio formativo è data dall’accuratezza posta fin dalla (fase della) progettazione degli interventi, e nel dosaggio che si sia riusciti ad assicurare tra i momenti di teoria e quelli di pratica (variabilità nei contenuti).

E’ in questo scenario che si inserisce la politica pubblica delle risorse umane, una politica che è chiamata ad adattarsi al sistema delle funzioni gestionali, quali risultano ripartite dalla Costituzione tra i diversi livelli di governo.

Un adattamento alla realtà amministrativa che risulta contrappuntato dalla diversità dei saperi e delle tecniche gestionali: quelli che sono necessari per svolgere la funzione di programmazione sono diversi da quelli necessari per controllare l’esecuzione di una legge; così come sono ancora diversi quelli necessari a gestire i provvedimenti/i servizi da rendere per dare esecuzione, appunto, a una legge, statale o regionale che sia.

A questa esigenza differenziata di contenuti occorre essere in grado di fornire una risposta adeguata, e per ciò stesso mirata. E in tale situazione può essere utile la creazione di un “centro” di progettazione formativa che guidi le pubbliche istituzioni verso traguardi culturali possibilmente non differenziati?

3. Alla ricerca dei responsabili della politica pubblica della formazione permanente delle risorse umane nella Pubblica Amministrazione.

La individuazione di “centri di responsabilità”, che siano in grado di capire l’evoluzione del fabbisogno formativo degli operatori pubblici, viene richiesta nella direttiva del 13 dicembre 2001 del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Essa diviene una necessità ove si tenga conto che, tra le azioni di natura propedeutica, c’è quella di creare delle specifiche banche-dati: banche-dati che siano in grado di rendere prontamente leggibili le competenze possedute dal personale.

Nella sostanza, il Dipartimento della Funzione Pubblica dimostra uno specifico interesse a che la programmazione degli interventi formativi risulti ancorata all’analisi (quanto più realistica possibile) della professionalità (grado di) posseduta dagli operatori.

Ma il Dipartimento sembra dimenticare le vicende che hanno interessato l’evoluzione della carriera dei dipendenti pubblici in conseguenza dell’affidamento alla contrattazione collettiva decentrata del potere di autodefinizione dei contenuti dei profili professionali.

Così che, oggi, non sembra più essere agevolmente praticabile il percorso della programmazione degli interventi formativi ispirato dalla verifica degli skills posseduti; per quasi tutti gli operatori pubblici si prospetta un periodo, almeno decennale, di formazione permanente da programmare. Ma senza che si parli necessariamente di riqualificazione, o di riconversione professionale, o di aggiornamento.

C’è, invece, da pensare a un movimento culturale dalle caratteristiche fondamentali che si ponga quale primo, fondamentale obiettivo quello di “allineare” il livello professionale di quanti si sono ritrovati ad occupare posizioni professionali per la cui copertura l’ordinamento richiede(va), ad esempio, il possesso del diploma di laurea.

Senza questo sforzo corale di adeguamento minimo a un disegno ricostruttivo della cultura amministrativa violata, non sarà possibile pensare a un effettivo decentramento delle funzioni, né dallo Stato alle Regioni né da queste ultime al sistema delle autonomie locali.

Saranno i dirigenti a dover essere i responsabili della formazione delle risorse umane: è una indicazione che emerge dalla lettura della direttiva.

Ma nel sistema delle autonomie locali, soprattutto, in quei Comuni che hanno un sistema organizzativo minimo, nel quale non possono essere presenti i dirigenti, sarà difficile seguire il percorso accennato.

Eppure, le esigenze di aggiornamento, così come quelle di riqualificazione professionale, sono assai evidenti proprio nei Comuni di piccola e di media dimensione. Ed è proprio in questi Comuni che, nei fatti, la responsabilità amministrativa si ritrova ad essere connaturalmente definita in capo ai politici locali, dato che essi sono stati chiamati dalla legislazione più recente ad occuparsi in prima persona della gestione delle risorse finanziarie.

Non c’è alcun dubbio sul fatto che al progetto culturale in questione deve essere posta una forte attenzione. Anche perché c’è uno stretto collegamento tra responsabilità amministrativa e cultura della gestione.

Ma in questa nuova visione del sistema amministrativo, in cui la classe politica è chiamata a svolgere a tutto campo il suo ruolo, si scopre il valore della formazione, uno strumento per il cambiamento che deve essere guardato come un veicolo di traformazione della complessità…

4. A chi serve la formazione? Ai cittadini, utenti del servizio pubblico.

Sembrerebbe, leggendo la direttiva nella sua parte introduttiva, che la formazione sia da considerare un diritto-dovere dell’operatore pubblico…

E si guarda alla programmazione come a una tecnica gestionale che il decisore politico è chiamato ad usare perché sia soddisfatta l’esigenza manifestata dagli operatori, quella di vedere destinate risorse finanziarie certe a copertura delle spese necessarie a tale scopo.

Invece, si introduce – nel linguaggio della burocrazia – il riferimento agli utenti indiretti, agli utenti finali dell’attività formativa.

Sono utenti indiretti, le amministrazioni; sono utenti finali i cittadini.

Così che “per misurare l’efficacia dei risultati dell’azione formativa intrapresa, …, occorre tenere presenti le valutazioni espresse dai partecipanti alle attività formative, quelle dei dirigenti delle amministrazioni e, infine, le valutazioni espresse dai cittadini che usufruiscono dei servizi delle pubbliche amministrazioni”.

Ed è in tale contesto che si afferma che “sono i cittadini che debbono poter riscontrare un miglioramento continuo delle prestazioni ad essi rese”.

In tal modo, la formazione si pone al servizio di mutamenti istituzionali, che vengono a incidere sull’organizzazione e sulla capacità di assicurare il miglioramento del servizio pubblico dell’attività amministrativa.

A questo punto, si viene ad evidenziare un problema che nella contrattazione collettiva (soprattutto quella di livello decentrato) è stato posto in termini diversi in cui, oggi, la direttiva lo pone: quello di dover considerare la formazione come un obbligo del datore di lavoro per consentire la crescita professionale degli operatori.

Nella direttiva si continua a parlare di crescita professionale del singolo dipendente, ma essa viene vista precipuamente in funzione di un miglioramento del servizio reso agli utenti.

In fondo, al datore di lavoro pubblico non si chiede di definire il budget della formazione in funzione di un impegno sindacale sottoscritto, ma di costringere i soggetti sottoscrittori a evidenziare le positività che derivano da quello.

Se così è, cambia la prospettiva della valutazione svolta o dagli stessi partecipanti ai corsi, o dai dirigenti, o, alla fine, dagli utenti.

Solo che, seguendo questo percorso, il parametro di valutazione diventa quello dato dal rapporto tra costi (sopportati) e benefici (conseguiti dagli utenti).

Non è mai successo che si sia dato tanto peso ai “benefici”.

Si viene a ragionare di questo tema ponendoci, quindi, una prospettiva nuova.

E siccome gli errori nella scelta dei processi decisionali relativi al tema non sono più tollerati, sarà facile accorgersi di essi dopo che si saranno osservate le prescrizioni contenute nella direttiva. Prescrizioni che sono da seguire, ma soprattutto da tesaurizzare.

Tanto da far ritenere che finora si siano impegnate risorse per svolgere attività formative che non hanno perseguito l’obiettivo fondamentale che, oggi soltanto, risulta esplicitamente espresso: migliorare la resa del servizio pubblico.

Una formazione, quindi, quella che viene prefigurata che non diventa un campo da mietere, né una occasione per accumulare, nel fascicolo personale, “certificazioni” di frequenza a corsi nella maggior parte non confacenti con la posizione professionale rivestita dal singolo dipendente.

Sembra che si sia inteso operare una svolta.

E a questa “nuova politica” non si può che prestare attenzione da parte dei decisori amministrativi, da parte dei decisori politici.

5. Il ricorso alla formazione a distanza: una alternativa alla formazione d’aula?

Mentre il fabbisogno formativo cresce secondo un andamento che si presenta caratterizzato dalla esponenzialità delle esigenze espresse, non ci si poteva sottrarre dal fornire indicazioni in ordine all’utilità che può avere il ricorso alla formazione a distanza (l’e-learning).

Ma le indicazioni che la direttiva contiene si dimostrano utili perché anche questa via possa essere percorsa: si avvertono i decisori che, in ogni caso, l’adozione delle tecnologie cui fare ricorso richiede una attenta pianificazione.

E’ necessario, infatti, tenere conto “degli obiettivi della formazione, dei destinatari e dell’integrazione con le tradizionali metodologie d’aula”. Al contempo, si prospetta la necessità di “una organizzazione modulare” e di “una gestione flessibile”: ciò in considerazione del fatto che si dovrebbe venire incontro alle esigenze formative individuali.

In ogni caso, la sensazione è che ci vorrà del tempo perché la formazione a distanza soppianti quella tradizionale, cioè quella somministrata in aula.

Ma è auspicabile che ai ritardi accumulati in questa area della trasmissione della cultura amministrativa si faccia fronte con una certa quale meditata tempestività.

D’altra parte, gli interventi effettuati sull’organizzazione richiedono un adeguamento personalizzato della professionalità posseduta dai singoli operatori.

E non c’è più tempo per rinviare ancora la messa a punto di quel progetto culturale che riteniamo indispensabile: allineare al minimo le professionalità possedute.

Occorrerà usare, a tal riguardo, una terminologia tecnica senza la quale il trasferimento dei saperi non potrà realizzarsi.

Ecco in che modo la parola continua a diventare il veicolo per (ri)creare nelle menti degli operatori pubblici un livello di cultura gestionale adeguato agli stessi mutamenti di riallocazione delle responsabilità amministrative. Che la nuova Costituzione impone ai legislatori, a quello nazionale come a quelli regionali.

Le risorse finanziarie da dedicare

alla politica pubblica della formazione

permanente dei dipendenti pubblici.

Gli interventi formativi, strumento

per supportare i processi innovativi.

“ Le attività formative dovranno rispondere a standard minimi di qualità e assicurare il controllo del raggiungimento degli obiettivi di crescita professionale dei partecipanti e di miglioramento dei servizi resi dalle pubbliche amministrazioni”.

Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001).

Gli interventi formativi, strumento

per supportare i processi innovativi.

“ Poiché la formazione costituisce un processo complesso, che ha come fine la valorizzazione del personale e il miglioramento dei servizi pubblici, l’impegno delle amministrazioni nella gestione della formazione dovrà essere particolarmente attento alla qualità e all’efficacia”.

Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001).

Gli interventi formativi, strumento

per supportare i processi innovativi.

“In particolare, i dirigenti dovranno attivarsi, ove possibile con il supporto dei propri uffici o rivolgendosi a soggetti esterni, per valutare il “cambiamento” prodotto dalla formazione: in termini di crescita professionale individuale, impatto organizzativo e miglioramento della qualità dei servizi; …”.

Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001).

Gli interventi formativi, strumento

per supportare i processi innovativi.

“Il progetto didattico dovrà essere concentrato sui fabbisogni specifici delle amministrazioni e dovrà corrispondere alle esigenze sia dell’orga-nizzazione sia del personale”.

Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001).

Gli interventi formativi, strumento

per supportare i processi innovativi.

“L’attivazione di diversi piani strategici, tra cui quello finalizzato alla realizzazione del-l’e-government, sarà possibile soltanto grazie alla formazione delle risorse umane”.

Fonte: Dipartimento della Funzione Pubblica – Direttiva sulla formazione e la valorizzazione del personale delle pubbliche amministrazioni (13.12.2001).

Prof. Rosario Scalia

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